Cina, Yunnan - Xishuanbanna in motorino

viaggio di Riccardo, Davide, Francesco

FOTO di Davide

 

Appuntamento a Kunming

Siamo riusciti a trovarci in Laos a Vientiane alla tot ora il tot giorno nel 2002; ci siamo detti perché non lo facciamo anche quest' anno nel 2005 in Cina ? Anzi più precisamente nello Yunnan. Perché lo Yunnan?
A Luang Prabang un giovane italiano che vagabondava da tempo in quell' area me ne aveva parlato come della regione da dove il Mekong veniva. Mi sono poi informato su internet e ho visto la particolarità di questo posto. Lo volevo raggiungere da Xian nel 2004 ma a causa della settimana di festività cinese di maggio non ho potuto.
Tutto lo Yunnan è come una perla nell' immensa Repubblica Popolare. Una fetta di territorio che parte dai piedi dell' altipiano tibetano sino ai confini con Birmania-Laos-Vietnam a sud. OK. E' fatta, ci si vede tutti all' aeroporto di Kunming. Kunming, città dove è sempre primavera, un posto da maglietta, quando non è così da felpino o pull over, molto pulita e moderna, con zone vecchie in demolizione e la frenesia di crescita della recente Cina tuttavia per nulla grigia, piena di natura nei dintorni e con tanti angoli naturalistici anche al suo interno, come certi laghetti, parchi e zone floreali.
Quasi tutti i visitatori e backpackers conoscono il Camellia Hotel. E' qui che Cinta si era stabilito da una settimana dopo Xian e Chengdu. Il giorno dopo il mio arrivo ci raggiunge Riccardo da Pechino (a Pechino è facile trovare un volo diretto per altre destinazioni anche immediatamente. Basta salire al secondo piano dell' aeroporto e chiedere; Riccardo è stato imbarcato con un <Sbrigati, l' aereo sta partendo adesso !>).
 

 

La lonely planet consiglia un mese per vedersi bene lo Yunnan. Noi in tre avevamo una dozzina di giorni insieme, poi io dovevo tornare a Bangkok e gli altri muoversi verso Pechino. Kunming merita ma abbiamo speso anche un giorno per Shilìn dove c' è una zona con una "foresta di rocce", luogo suggestivo quanto turistico. Massi taglienti in cui hanno sapientemente ricavato anche delle scale dalla roccia per potersi aggirare in un labirinto naturale (ci sono anche maniglie costruite con lo scalpello in certi punti: quello che a Milano si dice "laur de cinés", per dire che è un lavoro di fino).
Shilìn è un posto che merita qualche ora, rientrati a Kunming ci siamo preoccupati di procurarci il biglietto del bus per Jinghong capoluogo dello Xishuanbanna, il così detto "sudestasiatico cinese". Con un giorno di ritardo rispetto alla prenotazione dell' autobus partiamo una mattina da Kunming per varcare un posto di blocco del distretto verso le undici di sera e finalmente arrivare a Jinghong la notte alle quattro.
 

Jinghong

Tranquilla cittadina asfaltata in cui accanto alle scritte cinesi c'è anche la scrittura dai (scrittura Tai shan meridionale). I Dai (etnia del grande gruppo Tai come gli shan in Birmania, i Laosiani, i Thai e altri) costituiscono metà della popolazione e ci sono villaggi ovunque nelle zone esterne.
Alcuni sono villaggi allestiti per intrattenere i turisti. Passiamo cartina alla mano di fianco ad un laghetto e: <May I help you?>; pare finalmente che qualcuno ci possa dire qualcosa:
<Sì, cerchiamo questa via>.

In risposta: <Sorry all names are changed>.

Giriamo attorno ad uno stadio e finiamo per trovarci in una via vicina ai locali e alle guesthouse frequentate dai visitatori. Entriamo per fare colazione al bar Mei Mei dove sta seduto un sosia di Kurt Cobain conosciuto qualche sera prima a Kunming. Mangiando ad un certo punto notiamo un tizio che parcheggia un motorino di fronte al locale. Coi baffi, una decina di orecchini sul lobo sinistro, ha l' aria dell' italiano o dello spagnolo con una abbronzatura che potrebbe essere anche quella di un expat, o di uno nato e vissuto lì, a Jinghong come nella settecentesca Tortuga, o cose del genere.
<Comunque chiediamogli dove possiamo noleggiare dei motorini visto che ne guida uno>.

L' incontro con Giorgio Bettinelli

<Sorry, where did you rent your motorbike?>

<Where are you from?>

<Italy>

<Anch'io>

< . . . Giorgio? Giorgio Bettinelli?>

<Sė, come fai a conoscermi?>

Avevo letto i suoi due libri di recente che narrano dei suoi lunghi percorsi per il globo a bordo di una vespa. Ci sediamo al suo tavolino per un giro di birre. L' incontro straordinario è anche provvidenziale; per le moto non c' è problema, nello Xishuanbanna possiamo guidare quelle senza targa e il giorno dopo ne avremo in mano una a testa. Per il momento Giorgio ci deve salutare ma avremo modo di vederci ancora. Nel frattempo ci rechiamo a piedi nel più vicino dai garden. E' nei pressi di questo che si trova la celebre pagoda di stile "sud-est asiatico".
 

Chi è Giorgio Bettinelli

Autore di In Vespa da Roma a Saigon, Brum Brum, Rhapsody in black, Giorgio Bettinelli è il Re del motorino. Il primo grande viaggio Roma Saigon in Vespa poi da allora una leggenda. Sandro di fuggire.it per esempio non è l' unica persona che mi ha detto di aver comprato una Vespa dopo la lettura dei libri di Bettinelli.

Non so in quale passo di critica letteraria o articolo ma ricordo qualcuno che ha scritto sulla tipicità dei racconti di viaggio degli scrittori italiani che si distinguono per l' attenzione rivolta oltre ai paesaggi e alle vicende ad una maggiore conoscenza dell' altro.
Come se noi nella nostra italianità non riuscissimo ad evitare un contatto umano di tipo più ravvicinato che distaccato, con gente di ogni età, razza e condizione sociale.Questo tratto emerge tutto nella lettura dei libri di Giorgio Bettinelli. Anche a costo di rischiare la sicurezza della propria vita, salute, portafoglio nonché del mezzo Giorgio non teme umani coinvolgimenti con numerose delle persone incontrate. Accetta inviti, dà passaggi, fa storie sentimentali con tipe, improvvise deviazioni, improvvisate, cene e serate. Il narratore si trova così a incontrare una miriade di persone cordiali, simpatiche e amichevoli ma anche i meno benintenzionati. Finisce per farsi derubare più volte, in Malesia da una scoppiata a cui aveva dato un passaggio, a Mosca dall'amico di un taxista, fa a botte in un cinema messicano per colpa di un prepotente pizzicatore di braccio, si fa anche una notte acida in Alaska dove un pusher invidioso gli scioglie per dispetto un trip nel caffè a sua insaputa . . . ma questi sono solo alcuni esempi di un itinerario non certo scevro di imprevisti anche tecnico-vespistici in cui si afferma la sua estrema voglia di vivere, di viaggiare e scoraggiarsi talvolta ma solo per poi ripartire.
Giorgio tiene comunque sempre fisso il proprio obiettivo: macinare kilometri per raggiungere mete, ma poi nel susseguirsi dei viaggi all' autore stesso pare di essere ormai dipendente dall' errare per errare. Un bisogno esistenziale quello di sfrecciare da solo dietro un confortevole parabrezza.
Tutto ha inizio quando a 37 anni il protagonista è un giornalista che si ritira a Bali vivendo di spiaggia e poco altro. Qui il destino lo dota della sua prima vespa scassata.
Compie il suo primo gran giro percorrendo le lunghe isole dell' Indonesia ma presto in un flash di illuminazione
si impone il primo grande obiettivo internazionale: Roma-Saigon (1992-1993). Ovviamente tutto in Vespa (150cc). Passando per Grecia, Turchia, Iran, Pakistan, India, Bangladesh e saltando per forza maggiore la Birmania e il Laos raggiunge Saigon. Proprio qui a Saigon, una nuova illuminazione: percorrere dall' Alaska alla Terra del Fuoco (1994-1995). Questo e altri ben più lunghi itinerari e tappe saranno l' oggetto di narrazione in Brum Brum (1995-1996 per Melbourne-Città del Capo ; Ushuaia - Tasmania dal 1997 al 2001).
Note di poesia riverberano tra le righe del suo quaderno balinese, intermezzi di fantasia dove le atmosfere della cronaca motociclistica fanno da trampolino a pagine romanzate dai tratti visionarii quanto di tragico realismo.
In Brum Brum il racconto del suo ultimo percorso si tronca con un terribile incidente africano e riprende poi con il più recente volume: Rhapsody in black, in vespa dall' Angola allo Yemen. Ma un altro ne seguirà sicuramente per descrivere il resto del tragitto da lì alla Tasmania.

Giornalista nonché corrispondente per riviste specialistiche, fotografo, sponsor della Piaggio Giorgio non è autore solo dei libri succitati ma anche di un volume illustrato, numerosi articoli, un CD e altro. Ho cercato per fuggire.it una serie di links per saperne di più (sezione links).
 

Ponte del Mekong poi a destra

Con la benedizione del grande viaggiatore e la compagnia della francese Natasha, girati a destra con le spalle rivolte a Jinghong (quindi a sud, anzi a sud est, oppure . . .) . . percorriamo una suggestiva strada fatta a tornanti che costeggia il Mekong fino a che arriviamo al villaggio Dai Manting Temple dove quasi tutti gli abitanti e specie le donne vestono i colorati costumi tradizionali. Alcune veramente belle e tutte dal portamento fine e graziato con questi lunghi abiti di color giallo, fuxia, verde . . . Si svolgono tante messe in scena tra le quali l' orribile simulazione di lavoro alle attività del villaggio. Quando un gruppo di turisti arriva (bandierine e cappellini gialli, verdi . . .) in un piazzale le donne cominciano a filare, tessere, telaiare; in un' altra grande piazza invece ogni pomeriggio "200 beautyfull dai girls" simulano per la gioia o l' ignoranza dei turisti il water splash festival, la festa dell' acqua che si svolge una volta l' anno (nota in Thailandia come Songkran ad aprile) nella quale ci si tira gran gavettoni d' acqua (per scacciare il male). Lo avranno fatto anche quel pomeriggio in cui faceva abbastanza freddo.
 

E' in questa zona della Cina che si rintracciano le origini del popolo Thai. Sip Song Pan-naa è il nome dell' area e significa i "Dodicimila campi di riso". La lingua è molto simile al Thai (un Dai può capire l' 80% della lingua Thai di Bangkok), il buddismo è Therevada (mentre nel resto della Cina è Mahayana) i monaci vengono invitati a studiare in Thailandia. Per molte persone in precedenza state in Thailandia e Laos lo Xishuanbanna è la stessa cosa . Non è vero. Nonostante l' estetica simile al sud-est asiatico, nonostante questa zona sia Cina, lo Xishuanbanna non è né l' una né l' altra cosa. Enclave con una certa autonomia sin dall' antichità (insieme a tutto lo Yunnan) lo Xishuanbanna è un posto a sé.

Mi perdo qualcosa

Sulla strada del rientro a Jinghong, capitanati dallo spirito di avventura del Cinta prendiamo una strada sterrata che dovrebbe portare al villaggio Akha. Cinta porta Natasha, Riccardo solo se stesso, Io con lo scooter ad un certo punto ritengo l' ora di tornare perché la benza mi stava finendo. Percorrendo da solo lo sterrato mi rendo conto della bellezza dei colori baciati dalla tinta di un sole sullo spegnersi: tonalità vistosamente accese, soprattutto il verde su terriccio rosso. Un altro mondo. Quando sono sulla strada d' asfalto il cielo ingrigisce e comincia a piovere. Arrivo al pelo dal benzinaio poi in Hotel. Gli altri intanto sono riusciti a raggiungere il villaggio. Non si tratta di uno show come il villaggio Dai di prima. E' un vero villaggio in cui arrivano "i rompicojoni 'n muturin".

E' davanti a una birra che ci troviamo al Mei Mei. La gente che lo frequenta è quasi sempre la stessa, quasi tutti stranieri e immancabilmente c'è Giorgio Bettinelli con sua moglie.
 

Giornata uggiosa

La pioggia non cessa e sarà una giornata pigra senza motori. Le lunghe sedute nei caffé e una lunga sessione in sala internet, il torpore di una giornata sbiadita mentre ci giunge notizia che in quel momento a Kunming nevica (non capitava da decenni). Il sole però si affaccia nel tardo pomeriggio, un gruppo di aerobica in tuta rosa si esercita sul piazzale.

La sera ceniamo con Giorgio e sua moglie Ya Pei in una trattoria dai, posto abbastanza rude in cui non si vedono stranieri; con sgabelli bassi e un tavolo rotondo e quello che si ha da buttare lo si butta a terra. La coppia poi ci invita a casa per un caffé e ci portiamo dietro una boccetta di liquore locale per correggere. Le conversazioni ci portano anche alle imprese di Giorgio, una cartina del globo su cui sono tracciati i percorsi macinati sulle due ruote e l' intenzione di riempire presto gli spazi vuoti di quel mondo "che è piccolo ma è anche grande".
 

Di nuovo on the road

<Sì potreste andare alle cascate, a Màn diàn>

<sempre dritto però da quella parte e ad un certo punto come il solito a destra>

<Sì qui a destra è giusto> e siamo già in aperta campagna con il colore verde acceso delle angurie piantate a fondo di una lieve vallata a imbuto largo. Solo i colori vividi dello Xishuanbanna e rari villaggi dai lungo la strada. Proseguiamo finché la strada è asfaltata, poco dopo il motorino di Riccardo non va più, non c'è modo di rianimarlo. Torniamo quindi al villaggio più vicino e affidiamo la motoretta ad una famiglia. Procediamo poi sullo sterrato, io il ciccione da solo sullo scooter per goderne egoisticamente con la scusa del peso, Cinta e Riccardo sull' "ammiraglia" a marce. Dopo una ventina di chilometri la mulattiera scende in uno scenario di alberi di gomma tutti con la loro vaschetta e qualche raro passante, a piedi, a piedi con bufalo/i, o in moto fino all' entrata della "Foresta pluviale di Mandian" con nei pressi una casermetta, un ponticello e un cartello con "Divieto di armi" e "Divieto di incendio". Proseguiamo sulla strada ed è un susseguirsi di villaggi dai e piantagioni di riso. Ci spingiamo fino al limite della strada entrando nell' aia di un cascinale. In quell' angolo in particolare il paesaggio era sublime con quei terrazzamenti perfetti e quel colore rosso della terra, sempre così vivo.

Non siamo però arrivati alle cascate. Ci diamo da fare a cercarle a gesti e mostrando la cartina. Riusciamo a ricevere indicazioni solo per raggiungere il greto del fiume ma senza cascate. Dopo dieci minuti e poche parole in cinese il guardiano all' entrata della riserva riesce a comunicarci che la cascata dista a due ore di cammino e non possiamo andarci in motorino. Ciao. Ci mettiamo sulla via del rientro percorrendo la strada dell' andata con una comoda fermata presso la famiglia a cui avevamo affidato il motorino di Riccardo. C' è un mercatino di carni e vegetali, la famiglia invece ha un baracchino tipo bar. E' beer time prima di ripartire con Riccardo trainato a braccio da Cinta fino al Mei Mei.

Ritroviamo a cena Natasha che è stata al mercato di Meng Hai dove ha scattato foto ad una spanna dal viso dei personaggi immortalati, ad un certo punto arriva Giorgio esclama: "Bene, belle tutte queste conversazioni ma chi se la sente di fare una partita a scacchi?" Il Cinta ovviamente, e da quel momento per Giorgio e Davide il Mei Mei sarà il club scaccofilo dove la birra (<che mal si sposa al gioco tattico>) non cessa di fluire a nastro. La serata comunque non deve finire e noi tre andiamo all' "Ultimo bar" (Cinta: "Portatemi ovunque ma non in discoteca").
 

Per forza off road

E' l' ultimo giorno intero che possiamo passare a Jinghong, il giorno successivo io ho un aereo per Kunming e i ragazzi il bus per Ruilli. Prendiamo di nuovo le moto e ci suggeriscono di andare agli hot springs naturali dove ci sono vasche termali. Trovata la strada riusciamo solo a sbirciare in una vasca dove della gente si lavava e non parendoci il caso di entrare abbiamo preso un' altrra via in direzione Menghai. Strada asfaltata che ad un certo punto sale su tornanti montani e i motori ogni tanto vanno fatti riposare. Abbiamo solo due moto in tre, non sono riusciti in tempo a riparare l' altra. Ci fermiamo per pranzo alle due di pomeriggio in un baracchino e ripartiamo che pioviggina, tutto in discesa fino a Menghai.

La città è anonima, nelle vicinanze suscita interesse il tempio ottagonale di Jingzhen. Non abbiamo voglia né tempo per andarlo a visitare così soprattutto sotto la pressione di Cinta decidiamo di porci sulla strada del ritorno e non appena vediamo una stradina cazzuta prenderla per addentrarsi in zone più rurali (in virtù della regola "se non conosci un posto devi fare apposta a perderti"). Giriamo alla prima quindi attraversiamo piantagioni varie ma la mulattiera finisce presto in casa di qualcuno.

Torniamo sempre nella direzione della via di casa e giriamo ad una salita che parte dove avevamo pranzato, una larga strada sterrata che porta chissà dove. Il suolo si fa sempre più aspro, anche con sassi taglienti, io con uno scooter cittadino dalle ruote piuttosto lisce devo stare particolarmente attento (specie quando si rompe il mio portafortuna), intanto Cinta dal sellino posteriore dell' "ammiraglia" scatta foto a manetta. Dopo numerosi tornanti arriviamo in un ampia vallata i cui villaggi si stagliano sui pendii fra piantagioni di thé. Decidiamo di fermarci anche perché fra qualche ora è buio e bisogna tornare. Un rombo improvviso rimbomba nella valle ma non riusciamo a capire esattamente da dove. Pensiamo ad una miniera lì nei paraggi. Dopo cinque minuti una donna ed una ragazzina, che portavano fardelli sulla schiena retti da una fascia poggiata alla fronte, si fermano e ci indicano una vetta in fronte a noi. La signora parla in cinese e riesco a capire solo la parola <cha>, ossia thé; infatti scorgiamo una frana: un intero campo di thé tutto franato, era per quello il rumore.

Torniamo, ci mettiamo a tirare sulla strada asfaltata. Arriviamo in hotel per il crepuscolo e fatta la doccia restituiamo i motorini . E' l' ultima cena con Giorgio e Ya Pei; è tempo dello scambio di indirizzi, promesse e saluti. E' anche tempo per le ultime e frenetiche sfide a scacchi tra Giorgio e Cinta, le ultime birrette, un saluto anche a Natasha. Niente bagordi o discoteche è ora di partire.

Epilogo

La sveglia suona prima per Riccardo e Cinta col loro bus scassato dotato di brande per dormire: un viaggio per Ruilli che va dalle 20 alle 40 e passa ore. Andranno poi a Dali, Lijang, al Salto della Tigre e infine Pechino e dintorni.

Dopo poche ore partirò io per tornare a Kunming e da lì a Bangkok.

 

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